mercoledì 12 marzo 2008

ITACA

In quest’opera recentissima (è del 1996), Botho Strauss rivisita l’epica omerica portando in scena l’episodio conclusivo dell’Odissea, il momento in cui Ulisse dopo dieci anni di guerra a Troia e altri dieci di vagabondaggio per il Mediterraneo nel tentativo di tornare a casa, finalmente sbarca ad Itaca, isola di cui è re, per ricongiungersi alla moglie Penelope e al figlio Telemaco: troverà Itaca è occupata dai Proci, che insidiano Penelope, e solo con l’aiuto degli dei e del proprio ingegno l’eroe ristabilirà l’ordine. Ma nella lettura di Strauss casa e famiglia dell’astuto Ulisse sono molto cambiate durante il lungo esilio, e non certo in meglio…Un dialogo con il classico tra ironia grottesca e psicologia, filtrato dall’intelligenza tagliente di uno fra i massimi intellettuali tedeschi viventi, per un’operazione teatrale che non poteva non affascinare Ronconi e che non mancherà di sedurre il pubblico.
Guardare al mito di Ulisse con gli occhi della modernità, far risuonare attraverso la voce di oltre 30 giovani attori la forza millenaria dei versi originali, giocare con tutte le possibilità espressive offerte da spazi scenici diversi, invitare il pubblico a prendere parte al viaggio dei viaggi - l’Odissea - per lasciar scoprire che si tratta di un percorso di approfondimento dentro se stessi…
da vedere perche:
1) dura 4 ore, per i piu` coraggiosi.
2)..giusto per capire un po` cosa combina il caro Ronconi..dato che e` il regista piu` pagato e strapagato della nostra piccola Italia.
3) e' un tema interesantissimo ma soprattutto e` un testo recente.. mi chiedo sempre come mai la gente non si sia ancora stufata di vedere i soliti Shakespeare e Moliere.. fatti da chi poi.
4) Branciaroli lo ha caldamente consigliato, e non e` proprio l`ultimo degli scemi.
andiamo?
Teatro Strehler
Itaca,di Botho Strauss
regia di Luca Ronconi
scene di Marco Rossi

costumi di Aymonimo
movimenti di scena Maria Consagra
con Graziano Piazza, Elena Ghiaurov, Pierluigi Corallo, Raffaele Esposito, Pasquale Di Filippo, Riccardo Bini, Francesca Ciocchetti, Irene Petris, Cristian Giammarini
dall 8 al 20 marzo

lunedì 10 marzo 2008

BACON A MILANO

Fino al 29 giugno, presso le sale del Palazzo Reale di Milano, Francis Bacon in mostra!
Volendo evitare di essere prolissa e aggiungere cose mal dette e inutili a quanto già molti hanno fatto, mi limito a riportare di seguito il costo dei biglietti (aspetto da non sottovalutare quando si tratta di andare a Palazzo Reale..!).
Mi scuso per la banalità, ma mi sembra il contributo più utile che posso dare..
Buona visione a tutti!!

€ 9,00 intero
€ 7,00 ridotto gruppi di almeno 15 persone, visitatori oltre i 60 anni, minori da 6 a 18 anni, studenti fino a 26 anni, portatori di handicap, soci Touring Club con tessera, militari, forze dell’ordine non in servizio, insegnanti. altre categorie convenzionate.

€ 4,50 ridotto speciale: gruppi di studenti delle scolaresche di ogni ordine e grado, gruppi organizzati direttamente dal Touring Club ai quali non si deve applicare il diritto fisso di prevendita né i costi per le attrezzatura per le visite guidate (sistema microfonico per gruppi, cuffie ecc.)

Gratuito: minori di 6 anni, un accompagnatore per ogni gruppo, due accompagnatori per ogni gruppo scolastico, un accompagnatore per disabile che presenti necessità, un accompagnatore e una guida per ogni gruppo Touring Club, dipendenti della Soprintendenza ai Beni Architettonici, giornalisti iscritti all’albo,tesserati ICOM.

lunedì 3 marzo 2008

FINALE DI PARTITA

GRANDE RITORNO - di nuovo nei Teatri Italiani:
Teatro de gli Incamminati
FRANCO BRANCIAROLI
in
FINALE DI PARTITA di Samuel Beckett
con Tommaso Cardarelli e Alessandro Albertine con la partecipazione di Lucia Ragni
regia Franco Branciaroli
scene e costumi Margherita Palli
luci Gigi Saccomandi


Nel 2006, anno del centenario della nascita di Samuel Beckett, Franco Branciaroli ha messo in scena - nella duplice veste di attore e regista - uno dei capolavori del drammaturgo irlandese: Finale di partita. Lo spettacolo - una grande prova d'attore e un allestimento che punta al tragicomico - riscuote talmente tanto successo di critica e di pubblico da essere richiesto per 3 stagioni nei maggiori teatri italiani (debutto nazionale marzo 2006 Teatro Argentina di Roma).
Considerato un classico del teatro contemporaneo, Finale di partita è riconosciuto come il maggior lavoro teatrale di Beckett e uno dei più significativi di tutta la sua opera. L'occasione del centenario del grande scrittore irlandese, premio Nobel per la letteratura, è coincisa con la decisione di Franco Branciaroli di affrontare sulla scena un personaggio come quello di Hamm, di cui si possono ricordare le precedenti interpretazioni di Gianni Santuccio negli anni Ottanta e di Carlo Cecchi nel 1995. D'altro canto fu lo stesso Beckett a definire Finale di partita, in un'intervista rilasciata al Corriere della sera, un vero e proprio match teatrale per mattatori.
Della parola beckettiana Branciaroli mette in rilievo soprattutto la dimensione tragicomica che, particolarmente congeniale alla sua recitazione, perfettamente si attaglia a quella che è, per dichiarazione dello stesso Beckett, la battuta e la sintesi principale del testo: ovvero che niente è più comico dell'infelicità. L'allestimento dello spettacolo, diretto, secondo le precisissime didascalie di Beckett, dallo stesso Branciaroli ("Non puoi fare la regia di Finale di partita - spiega Branciaroli - perché è già tutto scritto dall'autore. Perfino quanti minuti l'attore deve stare in silenzio"), punta proprio a dare risalto all'impossibilità del mondo-superstite di comunicare eppure alla sua condanna di continuare a produrre parole e rumore, quasi che il silenzio coincidesse con la morte. Chiuso ciascuno nella propria infermità (motoria, linguistica e visiva quella di Hamm, ancora motoria quella di Clov, addirittura pre-agonica quella dei due genitori ridotti a monconi dentro a due bidoni carichi solo di passato), lo spettacolo cerca dunque di sfogliare le molte sfaccettature racchiuse dentro al testo dell'autore irlandese (spesso metateatrali o religiose, come di chi non aspetta più Godot ma vive tragicamente una grande nostalgia per il sacro), anche con sorprese, tocchi e accenti assolutamente originali che si rifanno ad una lettura profonda della scrittura di Beckett. Così è per la scelta di Franco Branciaroli di dare risalto all'ispirazione clownesca dei personaggi, tanto che lo stesso Hamm parla con l'accento francofono dell'ispettore Clouseau (era per altro intenzione di Beckett scritturare per quel ruolo Peter Sellers).Parte integrante della regia sono la scena disegnata da Margherita Palli, che al vuoto esistenziale beckettiano dà concretezza sospendendo l'azione su un vuoto fisico, e le luci di Luigi Saccomandi che, totalmente allampanate e inverosimili, rendono sensibile la consistenza assolutamente antinaturale di ogni residua esistenza.
Scrive Branciaroli nelle sue note di regia:"Paradossalmente, i testi di Beckett oggi non sono più assurdi: si sono avverati. Il mondo rappresentato è quanto resta dell'ultimo naufragio. Anche i personaggi in gioco sono dei resti alla deriva. Hamm è cieco e immobilizzato sulla sedia a rotelle, il padre e la madre vegetano inchiodati dentro due bidoni della spazzatura, dai quali emergono, se Clov alza il coperchio, con la sola testa. Clov può ancora camminare, ma senza potersi piegare né sedere. E anche questi mi paiono simboli della condizione umana, validi oggi. Il messaggio di Beckett sull'uomo è tragicamente vero, la sfida che mi sono proposto è farlo arrivare togliendo peso alle parole. Non per togliere peso al tragico: anzi, per renderlo più efficace".

SU FINALE DI PARTITA. L'assurdo, l'essere e il nulla
di Luca Doninelli
E' curioso come la chiacchiera culturale abbia fatto finire Samuel Beckett nel novero dei cosiddetti poeti dell'assurdo, quando la stessa formazione del grande scrittore dublinese riconduce ad altre vie interpretative. Il filosofo Adorno fa girare tutta la sua lettura beckettiana intorno al tema dell'insignificanza (che è un altro nome dell'assurdo) del linguaggio. Il nulla delle parole sarebbe, in qualche modo, la moneta (falsa) con la quale paghiamo il nulla delle cose.Se, però, vogliamo mantenere quella parola, "assurdo", allora dobbiamo ammettere che, con questa parola, il teatro del secondo Novecento, Beckett in primis, designa, più che l'insignificanza - abbondantemente documentata dalla massima parte della letteratura del tempo, tutta intrisa di nichilismo - una paradossale resistenza ad essa.Come se "assurdo" e "nulla" - che di per sé sono parenti - scoprissero una reciproca, strana eppure innegabile avversione. L'assurdità di Finale di partita non sta nell'insignificanza, bensì nella resistenza che ad essa oppone un estremo brandello di umanità raccolto in una stanza, che potrebbe essere l'ultima stanza del mondo. L'apparente insulsaggine dei discorsi e delle situazioni sembra rendere ancora più reali i corpi che stanno al centro della scena. In un'atmosfera di inesistenza, questi corpi esistono - insensatamente, assurdamente, senza una ragione, ma esistono. Assurdo non è che la vita non abbia senso, assurdo non è "l'infinita vanità del tutto": assurdo è che in questa insensatezza, in questa vanità, qualcosa esista. Sono corpi umani, che parlano, pensano, si adirano, si rappacificano, si dispiacciono e qualche volta - udite udite - sperano. Che nel mare del nulla qualcosa si ostini ad essere: questo è l'assurdo. Questa constatazione, però, non lascia le parole così come sono, ma le trascina in un nuovo clima di senso. Rileggendo le battute, i brani (come lo staziante racconto di Hamm), i rari pensieri noi ci accorgiamo che sono tutt'altro che insensati. Essi sono stati semplicemente sottratti al regime di menzogna della chiacchiera quotidiana, dove tutti i conti sembrano tornare.Finale di partita parla di una partita, appunto. La lingua, il parlare, l'ascoltare sono una partita da giocare, nella quale ciascuno è chiamato a fare la propria mossa. Non ci sono regole del gioco predeterminate (l'dea della lingua e del pensiero e della cultura come gioco, oggi così di moda e così all'opposto rispetto a Beckett!), tranne quella del croûpier: Faîtes votre jeu, fate il vostro gioco. Al centro di questo parlare non c'è più un "discorso", ma solo la presenza fisica di questi corpi. E non è un caso che, d'un tratto, Hamm esca allo scoperto. Alla domanda del cinico servo Clov ("Perché questa commedia tutti i giorni?"), Hamm risponde: "La routine. Non si sa mai"Hamm - (...) Clov!Clov - Sì.Hamm - Che sta succedendo?Clov - Qualcosa sta seguendo il suo corso.Hamm - Clov!Clov - (Irritato) Che c'è?Hamm - Non può darsi che noi... che noi... si abbia un qualche significato?La serietà con la quale Beckett giunge a questo passo, la sua totale mancanza di sarcasmo, la dolente poesia che accende il cuore (Hamm sostiene di aver guardato dentro di sé e di avere visto "una cosa viva") ci sospingono - come nelle strazianti parole incise su bobina de L'ultimo nastro di Krapp - in una direzione che col gioco nichilista non ha niente in comune. E' vero: la lingua è distrutta, spezzettata come una città bombardata senza più case né strade. Ma proprio questo frazionamento fa crescere i singoli pezzi, ossia le parole, gettandoci nel baratro di una decisione totalmente libera. Il "senso" non è un già-dato, ma una nostra decisione radicale. La più famosa battuta del testo, che Beckett mette in bocca a Nell ("niente è più comico dell'infelicità") ci riporta a questa condizione. Esiste una strana analogia, richiamata anche dal nome del protagonista (Hamm), tra Finale di partita e Amleto (Ham-let). Nei due capolavori assistiamo al tentativo di introdurre il nulla come nuovo ordine dell'universo, e alla tenace resistenza che un mondo di cose oppone a questa invasione. Perché non possiamo scegliere il nulla? Non sarebbe tutto più facile? E invece ecco qua: sognamo padri uccisi, anime simili a "una cosa viva": sogni che vengono a turbare la tranquillità anestetica delle nostre giornate e ci fanno dire, come Hamm (e come Amleto): "E tuttavia esito, esito a... farla finita".


in tournée a partire dal 7 marzo, con una tappa al Franco Parenti di Milano dal 1 al 6 aprile, al Teatro Tor Bella Monaca di Roma dal 18 al 20 aprile.

martedì 12 febbraio 2008

GIOVANNI TESTORI NEL VENTRE DEL TEATRO, ALLA FONTANA

APPUNTAMENTO ALLA SALA FONTANA.

Venerdì 22 febbraio alle ore 18:00, si svolgerà presso il Teatro Sala Fontana di Milano un incontro dal titolo: "Giovanni Testori nel ventre del teatro", con la partecipazione di Gilberto Santini - direttore artistico del Teatro delle Marche -, e Iaia Forte - interprete e regista di Erodiade. Lo scopo è quello di essere aiutati ad affrontare la concezione del teatro di Testori, contenuta nel saggio che dà titolo al nostro incontro; in questo senso si è voluta cogliere l'occasione della prossima messa in scena della pièce Erodiade, testo particolarmente significativo per cogliere l'orizzonte teatrale testoriano. L'evento è rivolto soprattutto ai giovani, motivo per cui lo stesso venerdì 22 è stato convenzionato a 3 euro l'ingresso per gli studenti allo spettacolo serale.

Invitiamo caldamente tutti a partecipare, dal momento che si tratta di un testo molto provocante e significativo; e bellissimo. A questo proposito vogliamo ricordare la messa in scena di Erodiade con Adriana Innocenti, presso l'aula magna dell'Università degli Studi di Milano nel novembre 2006, a cui in qualche maniera anche questa nuova proposta è legata e debitrice. Speriamo che questa proposta vi trovi curiosi e accoglienti, con l'assicurazione da parte nostra che la vostra disponibilità verrà ripagata.

Il cast di Trames

venerdì 11 gennaio 2008

ERODIADE ALLA SALA FONTANA


ERODIADE di Giovanni Testori

con Iaia Forte, regia di Iaia Forte

"Della drammaturgia di Testori mi ha colpito innanzi tutto il suo universo – dichiara Iaia Forte - che è qualcosa di molto materico, fatto di odori e colori. Perché non è solo letteratura o teatro, è piuttosto ciò che scatena sensorialmente. Poi la lingua per la sua invenzione e la sua carnalità.La capacità, nello specifico teatrale, di creare personaggi femminili così virili, così potenti, cosa rarissima nella drammaturgia italiana. La lingua di Testori è davvero una lingua potentemente teatrale, per cui ti accorgi che, nel momento in cui la incarni, immediatamente ti porta a sé. Non c’è bisogno di psicologia, è come seguire una partitura musicale: è nei suoni, nell’evocazione fisica della lingua che trovi la ragione della sua espressione. Misteriosa anche per me che la vivo. C’è la presenza potente della natura, anche nei suoi aspetti più barbarici. Una lingua che vive una continua schizofrenia, una scissione tra la tensione verso un’innocenza primigenia e l’impossibilità di ritrovarla per una corruzione che è insita nella nascita. E questa è davvero una cosa che mi commuove”

dal 21 febbraio a Milano, presso il Teatro Sala Fontana

domenica 28 ottobre 2007

ANDIAMO A TEATRO!! LOMBARDI E TIEZZI

I GIGANTI DELLA MONTAGNA, Luigi Pirandello

regia di Federico Tiezzi
scene di Pier Paolo Bisleri
costumi di Giovanna Buzzi
luci di Gianni Pollini
con: Andrea Carabelli, Silvio Castiglioni, Roberto Corradino, Marion D'Amburgo, Iaia Forte, Clara Galante, Aleksandar Karlic, Sandro Lombardi, Ciro Masella, Giovanni Scandella, Massimo Verdastro, Debora Zuin

Sul finire della sua vita, Pirandello segna con I giganti della Montagna il suo dramma più arcaico: misteriosi elementi fantastici si intrecciano a caratteri di fiaba; elementi della vita si trasfigurano nel ritmo teatrale delle visioni: fino a spingere i protagonosti-attori a chiedersi dove sia la verità. "È nella magia del teatro" risponde il mago Cotrone; "È in noi e nella nostra struttura interiore" risponde più misticamente la Contessa. I giganti della Montagna sono i protagonisti invisibili del testo: rappresentano il potere nella sua materialità, possiedono i mezzi di produzione e li utilizzano per realizzare opere immani, e al tempo stesso esercitano un controllo invisibile attraverso la manipolazione delle coscienze. La Contessa Ilse è invece nemica della materialità nell’arte; la sua sapienza e il suo istinto indicano quale potrebbe essere il ruolo del teatro in un mondo dominato dalla vacuità e dall’irrazionalità: quello di riproporre il mistero e la ragione. Queste due visioni così differenti sono destinate a scontrarsi, ed è in mezzo a questo conflitto che si erge la figura magica di Cotrone; a lui e al suo pensiero "per immagini" si chiede forse una risposta alla crisi del teatro: il teatro è per coloro che sono disposti a contemplare i misteri del presente, le trasformazioni della realtà e della società.
Ultimo testo (incompiuto), I giganti della Montagna affonda le mani in interrogativi fondamentali: cos’è l’arte? Quale è il linguaggio che può più di ogni altro combattere l’omologazione e scardinarla? Il cinema, il teatro, la televisione? E qual è il ruolo dell’arte in una società che ha dimenticato la classicità, l’antichità, l’arte della comunicazione teatrale? Ponendosi queste domande Pirandello lascia aperto lo spazio a risposte che lo spettatore dovrà trovare da solo. C’è la verità di Cotrone, la verità di Ilse.. e se avessero ragione i mostruosi Giganti? Certo è nel conflitto tra questi tre diversi ordini in contraddizione che nasce la magia e l’attualità di questo testo. Lo spettacolo lo racconta utilizzando una fusione di linguaggi: recitazione, musica, arte visiva, cinema, danza sono gli elementi cardinali intorno ai quali ruota il lavoro degli attori e del regista. Federico Tiezzi ha curato la regia, con la collaborazione drammaturgica di Sandro Lombardi (interprete di Cotrone). Tiezzi intende usare il testo pirandelliano come una sorta di archetipo attraverso il quale scendere nei meandri più profondi dei meccanismi del teatro, delle sue suggestioni, dei suoi fasti e fallimenti, dei piaceri e dei dolori con cui esso irrompe nelle vite di chi vi si dedica. Come è noto, Pirandello non riuscì a terminare il suo capolavoro: l’ultima parte non è stata scritta e non resta che una sommaria descrizione fatta dal figlio, che la raccolse dal padre morente. Per questo spettacolo, Federico Tiezzi ha affidato al drammaturgo siciliano Franco Scaldati il compito di immaginare un possibile finale dell’opera.

Roma, 3-25 novembre 2007
Prato, 28 novembre-2 dicembre 2007
Bologna, 3-5 dicembre 2007
Firenze, 11-16 dicembre 2007
Bergamo, 4-13 gennaio 2008

Andate a vederlo!!! Per chi ha avuto occasione di vedere Gli Uccelli (sempre per la regia di Tiezzi), non resterà deluso: un'eleganza e un'armonia di luci e colori, ritmati da musica, canto e danza che rendono la fruizione davvero "magica", come direbbe Cotrone-Lombardi. La compagnia è forte di attori veramente validi, che creano come una compattezza su cui tutti gli elementi scenici paiono "scivolare": al punto che, per farmi capire, il finale in dialetto siciliano non risulta affatto pesante, ma si fa ascoltare, capire e apprezzare. Per convincere chi ancora è scettico, vi informo che questa messa in scena ha ricevuto i maggiori riconoscimenti, come il premio Ubu... Per la ricchezza dei lavori che Tiezzi e Lombardi portano avanti, la proposta diventa tripla: se potete, davvero, andate a vederli tutti!! (Dopo la data di Bergamo lo spettacolo si svolgerà anche a Legnano)


GLI UCCELLI, Aristofane

Due cittadini ateniesi, Pisetero ed Evelpide, stanchi della loro città, raggiungono un luogo sospeso tra terra e cielo, senza leggi, né violenza, l’utopica patria degli uccelli. L’incontro tra uomini e volatili è l’incontro tra esseri dell’aria ed esseri della civiltà, tra esseri pre-polis ed esseri della polis. L’avvenimento non è esente da conseguenze: Pisetero, ben presto, da viaggiatore utopico e difensore della democrazia e della libertà, si trasforma in tiranno, ponendosi come fondatore di una città degli uccelli, Nubicuculia, e ordendo un inganno ai danni dei vicini del piano di sopra, gli dei dell’Olimpo. Con un occhio ai drammi didattici di Brecht – “Questa regia – dichiarano Lombardi e Tiezzi – vuole avere lo stesso procedimento stilistico: farsi un argomento didattico, esibire la trasformazione, indicare un cambiamento dentro una società che da tribale diventa civile o politica. E si ingrigisce” –, va in scena quella che è stata definita “la più bella commedia di tutti i tempi” e che, oggi come all’epoca di Aristofane (è stata scritta nel 414 a. C.), si presenta come opera arguta e dissacrante, in cui affiora “l’amarezza di chi sa che ogni bel sogno è destinato a finire, a scontrarsi con le leggi implacabili della realtà” (Lombardi – Tiezzi).

Napoli, 30 gennaio-10 febbraio 2008
Parma, 15-17 febbraio 2008
Torino, 19-24 febbraio 2008
Pavia, 28-29 febbraio 2008


Ciò che più mi ha colpito nel vedere questa commedia è stata in primo luogo l'irresistible comicità del testo che, a essere sinceri, era l'ultima cosa che mi aspettavo (del resto, non facciamo che assimilare la grecità a una noia mortale; ceto: l'uomo, il destino... ma che noia!); si ride invece di gusto, prerogativa in genere dei testi di Aristofane, ma nel nostro caso dobbiamo ringraziare l'abilità della traduzione del professor Del Corno: il testo riceve qui chiarezza (e quindi efficacia) dal fatto che il testo è guardato innanzitutto nell'ottica degli attori, che di conseguenza lo restituiscono al pubblico. La seconda cosa che mi ha entusiasmata sono stati il coro e la musica, per cui ho pensato: "Ecco cosa sarebbe oggi il teatro greco!". E' uno spettacolo estremamente musicale, dove il coro degli uccelli emette gracchianti parole, che si formano dall'imitazione del verso di passeri, merli, civette; si viene così a creare un bagno di suoni e parole che, uniti agli sfavillanti colori dei costumi e del piumaggio, rendono all'occhio uno spettacolo unico. Inoltre il coro è protagonista di un intermezzo (paràbasi) esilarante e stupefacente per il canto e la coreografia. Non voglio anticipare nient'altro. Anche in questo caso, la compagnia è stata insignita del premio Ubu. Insomma, a questo spettacolo sembra non mancare davvero nulla, eccetto che l'essere visto... Andate, ascoltate, e se sbaglio, smentitemi!


LE CENERI DI GRAMSCI, adattamento dell'omonimo testo di Pierpaolo Pasolini

Lo spettacolo nasce dall’incontro di due protagonisti della scena italiana, Virgilio Sieni e Sandro Lombardi . Il coreografo e l’attore collaborano per la prima volta, nell’intento di creare un’opera dove danza e recitazione si rapportino in un dialogo continuo, dove la maturità delle rispettive ricerche, coreografica e attoriale, trovi reciproca eco. Il lavoro si basa su Le Ceneri di Gramsci di Pier Paolo Pasolini (1954), ambientato nel Cimitero degli Inglesi a Roma, dinanzi alla tomba di Antonio Gramsci, dove il poeta vive la sofferta consapevolezza di una contraddizione tra l’ideale marxista e una visione religiosa della realtà. La corporeità è il terreno di incontro e confronto tra le due dimensioni, orale e fisica, dell’opera. Nella scena la parola e la danza si sviluppano insieme, mirando a cogliere le risonanze che l’una innesca nell’altra, e che emergono nel loro sovrapporsi o dissociarsi. Un omaggio al poeta, una riflessione sui sensi e le percezioni del corpo e della storia, un’interpretazione insolita che non si limita alla recitazione o alla danza, ma al loro incontro nel nome di un testo.

Prato, 12-16 marzo 2008
Casalmaggiore, 18 marzo 2008